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Le linee rosse d’Europa

Le linee rosse d’Europa

“Alcuni dei partner stranieri non hanno accantonato i tentativi di rompere la parità strategica, mediante il dispiegamento di elementi di difesa

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“Alcuni dei partner stranieri non hanno accantonato i tentativi di rompere la parità strategica, mediante il dispiegamento di elementi di difesa missilistica globale nelle immediate vicinanze dei nostri confini”, ha affermato piccato il presidente della Russia Vladimir Putin al vertice del 1° novembre 2021 con il ministro della Difesa Sergej Shoigu e i rappresentanti dell’industria bellica nazionale. “Reagiremo di conseguenza, in maniera adeguata alle circostanze”, ha sentenziato poi.

Affermazioni forti, che ricordano un discorso analogo tenuto il 21 aprile 2021 di fronte all’Assemblea generale: “Spero che a nessuno venga l’idea di oltrepassare la linea rossa con la Russia, scambiando le nostre buone intenzioni per debolezza”. Costoro riceverebbero una “risposta asimmetrica, rapida e dura”.

Le linee rosse si differenziano dalle amity line per un particolare rilevante: sono unilaterali. Esse costituiscono il principio e la fine dell’escalation, ossia del progressivo inasprimento di uno sforzo militare, economico o culturale. Il potente capo di Stato russo rivela una profonda conoscenza dell’arte che regola le relazioni internazionali.

Il presidente russo Vladimir Putin

Per uno stratega, la linea rossa perfetta è quella più corta e retta tra due zone inalienabili. Per due semplici ragioni: è maggiormente difendibile e richiede un’allocazione minore di risorse. L’efficacia incontra l’efficienza.

In questa congiuntura storica, il principale confronto tra le due grandi potenze nucleari (Stati Uniti e Russia) si registra nel quadrante dell’Europa centro-orientale, ovvero in quella vasta fascia di terra compresa tra il Mar Baltico e il Mar Nero. Gli attriti principali si registrano in Ucraina e nel suo immediato vicinato.

La linea più breve tra i due mari semi-chiusi è l’istmo d’Europa, il quale corrisponde approssimativamente all’asse tra i territori “russi” più occidentali: il distretto baltico di Kaliningrad e la repubblica separatista di Transnistria (Moldova). Secondo Putin nessuna potenza occidentale dovrebbe superare fisicamente (o minacciare di farlo) questo limite virtuale del Russkij mir (mondo russo).

L’ex agente del Kgb sovietico allude non troppo enigmaticamente alla reiterata proposta di Kiev di predisporre per l’Alleanza Atlantica nuove infrastrutture militari terrestri nell’Ucraina centro-orientale e, soprattutto, navali sulla costa settentrionale dello specchio d’acqua eusino. Qualcosa che la Russia non può tollerare sul piano della sicurezza militare. Sic et simpliciter.

“L’adesione formale dell’Ucraina alla Nato potrebbe non aver luogo, ma lo sviluppo militare del territorio è già in corso“, ha sostenuto Putin al forum annuale del Valdai Club. “Questo rappresenta davvero una minaccia per la Russia. Ne siamo consapevoli”. Già in passato l’influente politico pietroburghese aveva esternato le proprie preoccupazioni, soprattutto in campo missilistico. Il tempo di crociera di un missile lanciato da Kharkov o da Dnipropetrovsk verso Mosca scenderebbe infatti a 7-10 minuti. “Questa è per noi una linea rossa, o no?”.

La Federazione Russa sta procedendo con la militarizzazione della Bielorussia proprio per fronteggiare l’avanzata verso est delle strutture politico-militari occidentali. L’istituzione di un centro di addestramento permanente congiunto russo-bielorusso nella provincia di Brėst, nonché il trasferimento nella Russia Bianca della necessaria tecnologia difensiva è segno di risolutezza. I caccia Sukhoi Su-30 dispiegati in occasione delle grandi esercitazioni militari Zapad-21 (settembre 2021) presso la base aerea di Baranavičy non faranno ritorno nella Federazione Russa, così come permarranno le efficienti batterie S-400 Triumph a protezione dello spazio aereo a ridosso della Polonia.

La “battaglia dei migranti” sul confine polacco-bielorusso, unita alla sottoscrizione di 28 accordi d’integrazione (e di una dottrina militare congiunta) da parte del Consiglio supremo dell’Unione statale tra Russia e Bielorussia del 4 novembre 2021, permette al Cremlino di accelerare la penetrazione politico-militare dell’ex repubblica sovietica. Le vaste esercitazioni di paracadutisti russi nei pressi di Grodno, a soli trenta chilometri dal confine polacco, e i frequenti sorvoli di bombardieri strategici a capacità nucleare su territorio bielorusso sono solo esempi di una presenza russa sempre più permeante a ridosso dell’istmo d’Europa. Le manovre di truppe aviotrasportate sono funzionali a ricordare alla controparte euroatlantica la vulnerabilità della breccia di Suwałki. Se Polonia o Lituania decidessero di interrompere le linee logistiche tra Bielorussia e l’exclave russa di Kaliningrad, la Russia riterrebbe giustificato un intervento militare volto a ristabilire l’ordine del traffico frontaliero locale.

Con la propria postura Mosca invia continui messaggi a Washington, ritenuto attore geopolitico razionale: il personale militare (e d’intelligence) statunitense dovrebbe lasciare rapidamente la base di Orzysz nel nord-est della Polonia, presa ormai in pianta stabile tra due fuochi ravvicinati (Kaliningrad e Grodno). Le forze statunitensi verrebbero incoraggiate a ritirarsi a ovest del fiume Vistola mediante l’uso di cannoni a microonde – diretti non sulle macchine, ma sulle persone – senza lasciar traccia di pistole fumanti.

L’integrazione delle forze armate di Mosca e Minsk inibisce la presenza stabile di truppe euratlantiche nell’Ucraina centro-orientale. Nessun generale assennato sarebbe lieto di condurre o far stazionare i propri uomini in quella che si presenta come una gigantesca sacca priva di elementi orografici difensivi. Parzialmente circondata a nord (Bielorussia), a est (Donbas e Voronež) e a sud (Crimea e Mar Nero), l’ex repubblica sovietica costituisce per gli Stati Uniti un inutile rischio militare. Soprattutto data l’impossibilità di praticare politiche incisive di supporto navale nello specchio d’acqua eusino. Il Mar Nero è un piccolo bacino semichiuso, serrabile artificiosamente con incidenti indotti. Ogni nave intrappolata sarebbe soggetta ad attacchi missilistici costieri resi ancor più pericolosi dalla centralità dell’ultra-fortificata penisola di Crimea (Russia). In uno spazio angusto come il Mar Nero né la qualità né la quantità delle imbarcazioni risulta premiante. Vale anche per la flotta più potente del mondo.

La Russia sta già cercando di riassorbire un pezzo alla volta l’Ucraina nella propria sfera di influenza e spera di farlo nel modo più indolore possibile. Il presidente Vladimir Putin ha di recente deciso per la rimozione di qualsiasi barriera doganale tra la Russia e le repubbliche separatiste di Lugansk e Donetsk – con import/export illimitato di beni – rendendo di fatto il cuore del Donbas parte integrante della Federazione. Se un intervento armato in Ucraina dovesse rendersi necessario, il grosso dell’offensiva sarebbe con ogni probabilità originata dal quartier generale di Voronež, città della Russia sud-occidentale.

Kiev è già solerte nell’eseguire i diktat di Washington; il suo ingresso in un’organizzazione politico-militare a decisionale collegiale come la Nato non apporterebbe alcun vantaggio né all’Alleanza né al suo leader indiscusso (Usa). In fin dei conti, la Casa Bianca non ha mai voluto impossessarsi dell’onerosa Ucraina, ma solo sottrarla al rivale russo in difficoltà.

L’interesse logico degli strateghi moscoviti è quello di schierare in Transnistria un mix di sistemi missilistici terra-aria (S-350 Vityaz, S-400 Triumph, S-500 Prometey) e terra-terra (Iskander-M) di portata tattica. I primi proteggerebbero con efficienza lo spazio aereo del segmento meridionale della linea rossa, i secondi contrasterebbero in modo concettualmente simmetrico le peculiarità di doppio impiego – difensivo e offensivo – della base missilistica Aegis Ashore della Nato a Deveselu (Romania). I missili da crociera a capacità nucleare 9M729 Novator, il cui raggio d’azione è risaputo superare ampiamente i 500 chilometri, farebbero all’uopo. La soluzione prevista per la Transnistria ricalcherebbe perfettamente quella già adottata per l’exclave di Kaliningrad. Solo l’emarginazione logistica della regione separatista impedisce al Cremlino di fissare il paletto meridionale della linea di demarcazione egemonica.

Nella regione separatista della Repubblica Moldova è già presente un ridotto contingente di truppe russe con il primario scopo di difendere l’arsenale di Cobasna (Kolbasna) sotto giurisdizione russa, il più grande dell’Europa centro-orientale con oltre 20 mila tonnellate di munizioni. Il pretesto per un incremento numerico delle truppe russe lungo la sponda sinistra del fiume Nistru/Dnestr sarebbe dato proprio dalla messa in sicurezza del sito di stoccaggio durante le delicate fasi di smaltimento in loco delle pericolose munizioni.

Fonte: Insiderover.it

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