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Cosa è successo al programma per distribuire vaccini in tutto il mondo?

Il piano Covax continua a rivedere al ribasso gli obiettivi: per il 2021 si parla di 1,4 miliardi di dosi previste. Un disimpegno che pesa nella lotta a Covid-19

Cosa è successo al programma per distribuire vaccini in tutto il mondo?

Abbiamo iniziato a somministrare le terze dosi di vaccino alle popolazioni eleggibili e i dibattiti sui vaccini in casa nostra, almeno in questa fase

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Abbiamo iniziato a somministrare le terze dosi di vaccino alle popolazioni eleggibili e i dibattiti sui vaccini in casa nostra, almeno in questa fase della pandemia, sembrano più centrati sul convincere coloro ancora esitanti che nel rincorrere dosi mancanti. Al momento oltre 40 milioni di persone hanno completato il ciclo vaccinale, circa il 77% della popolazione eleggibile, quella degli over 12 (realisticamente, per l’inizio del prossimo anno, saranno interessati anche i bambini più piccoli), oltre l’82% considerando quelli che hanno ricevuto almeno una dose di vaccino.

Le percentuali sul sito Our World in Data, il progetto di Oxford che raccoglie un’enorme quantità di dati su Covid-19, sono leggermente inferiori (si riferiscono al totale della popolazione), ma sono comunque elevate e abbastanza in linea con quelle di Regno Unito, Canada, Germania, solo per citarne alcuni. Le cose cambiano drasticamente quando i confronti si fanno con Kenya, Etiopia, Nigeria, Tanzania.

La frattura

Il divario, più che tra i singoli stati, è tra i paesi ad alto reddito e quelli a basso reddito. Con tutti i limiti che questa definizione ha, i primi raggiungono percentuali di vaccinazione (almeno con una dose) di oltre il 66%, i secondi di appena il 2%.

Un gap, quello della diseguaglianza nella distribuzione dei vaccini, che oltre a dividere il mondo (ancora una volta) tra paesi più fortunati e meno, rischia di alimentare la corsa del virus, l’emergere di nuove varianti, e il protrarsi del disagio economico e sociale. Lo ha ricordato nei giorni scorsi l’Organizzazione mondiale della sanità (Oms), rinnovando l’appello alla donazione dei vaccini, la condivisione di know-how tecnologico e delle proprietà intellettuali per la produzione locale dei vaccini e lo ha ribadito a stretto giro il numero uno dell’agenzia, Tedros Adhanom Ghebreyesus, al Global Covid Summit.

L’appello dell’Oms era già risuonato in passato, anche in occasione delle aperture delle vaccinazioni ai più giovani e quindi all’avvio dei primi programmi per le dosi aggiuntive alle persone che avevano già completato il ciclo vaccinale. Come in passato, anche oggi infatti il programma per la distribuzione equa dei vaccini è in ritardo.

A che punto è Covax

Parliamo di Covax, promosso dall’Oms, Gavi (l’Alleanza globale per i vaccini), Cepi (Coalition for Epidemic Preparedness Innovations) e partecipato dall’Unicef. Era nato con le migliori intenzioni (sebbene da alcuni criticato, per difetti di forma e di funzionamento che non lo avrebbero reso poi così equo: ne parlavamo qui), ovvero quello di portare vaccini anti-Covid a paesi che non possono permettersene l’acquisto, ma con obiettivi oggettivamente modesti. Due miliardi le dosi previste per il 2021, destinate soprattutto alle popolazioni a rischio e agli operatori sanitari.

Bene, nell’ultimo aggiornamento rilasciato dal programma stesso il numero, già rivisto al ribasso nei mesi scorsi, è stato ulteriormente abbassato: per il 2021 si parla di 1,4 miliardi di dosi previste. Meno appunto di quelle previste, per una serie di motivi, spiegano da Gavi: blocchi nell’export delle dosi previste, come nel caso del Serum Institute of India (Sii), tra i fornitori principali del programma, che ha privilegiato le scorte interne, specialmente di fronte all’impennata dei casi dei mesi scorsi, i problemi per scalare la produzione dei vaccini Johnson & Johnson e AstraZeneca e le incertezze sulle tempistiche per le approvazioni dei vaccini inclusi nel programma. Superabili in parte anche rinunciando a quel “nazionalismo vaccinale”, come è stato ribattezzato, che ha favorito in parte un gap così elevato in termini di distribuzione dei vaccini.

Covax ha bisogno di ingenti quantità di vaccini il prima possibile, ma questi bisogni continuano a essere messi in secondo piano – ha riassunto Rory Horner, del Global Development Institute della University of Manchester, sulle pagine di The Conversation –. Dimenticate le persone con due dosi di vaccino già nei paesi ad alto reddito, è Covax che ha bisogno di un booster”.

Cambio di rotta?

Qualcosa – più che un vero booster, per lo meno segnali di ripresa – potrebbe arrivare a breve. È notizia di questi giorni, infatti, l’intenzione dell’India di riprendere le esportazioni di vaccini dopo lo stop che era stato deciso in seguito all’impennata locale dei casi. Le esportazioni – salutate con entusiasmo dal direttore generale dell’Onu, in vista dell’ambizioso obiettivo di raggiungere il 40% delle vaccinazioni in tutti i paesi entro la fine dell’anno – dovrebbero riprendere dal mese prossimo. Anche le promesse fatte durante il Global Covid Summit, tanto dagli Stati Uniti, che promettono la donazione di oltre un milione di dosi (secondo quanto riferisce il New York Times), sia dal presidente Mario Draghi per l’Italia, con 45 milioni di dosi entro il 2021, lasciano pensare in un rinnovato impegno per vaccinare anche il resto del mondo.

Aggiornato a prima del Global Covid Summit.

Ma dallo stesso Draghi – e non è stato il solo a farlo – è però è risuonato il messaggio a guardare oltre, al futuro, per non dover essere legati a sforzi e programmi di donazione, auspicando un aumento della capacità di produzione di vaccini e strumenti medici anche nei paesi più vulnerabili.

Nel medio e breve termine questo potrebbe realizzarsi permettendo il trasferimento di know-how e licenze, così da allargare la platea di possibili produttori. Un po’ quanto avvenuto con il vaccino Sputnik V, dato in licenza a diverse aziende farmaceutiche, riassume in lungo pezzo sul tema la rivista Nature, e come potrebbe avvenire, se ce ne fossero gli intenti con il vaccino Johnson & Johnson, che utilizza una tecnologia simile (entrambi sono vaccini a vettore virale). Ma il tema del trasferimento tecnologico, della concessione delle licenze e sospensione dei brevetti, rimane caldo. La sensazione, scrive Nature interrogando diversi addetti ai lavori, è che i problemi di controllo qualità e di lunghi tempi per esportare conoscenze e capacità addotti dalle aziende suonino come sfide reali da un lato (quello di aziende e paesi ricchi) e come scuse dall’altro (di chi chiede e aspetta i vaccini per tutti).

Fonte: Wired.it

 

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