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Inchiesta Washington Post: “Impegni su clima basati su dati falsi”

Confrontate le emissioni di gas serra fornite da alcuni Paesi all'Onu con altre fonti scientifiche. "Enorme divario"

Inchiesta Washington Post: “Impegni su clima basati su dati falsi”

L’ultimo rapporto della Malesia sulle sue emissioni di gas serra fornito alle Nazioni Unite sembra proveniente da un universo parallelo. Secondo i

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L’ultimo rapporto della Malesia sulle sue emissioni di gas serra fornito alle Nazioni Unite sembra proveniente da un universo parallelo. Secondo il documento infatti, gli alberi della Malesia assorbono carbonio quattro volte più velocemente delle foreste simili nella vicina Indonesia”. Il Washington Post lancia il monito: sono molti i Paesi in tutto il mondo che sottostimano le loro emissioni di gas serra nei rapporti che poi forniscono alle Nazioni Unite. Si crea così un enorme divario tra le emissioni dichiarate e quelle effettive. Divario che, secondo il giornale che ha esaminato ben 196 rapporti nazionali, va dagli 8,5 miliardi fino ai 13,3 miliardi di tonnellate di emissioni. La differenza tra il dichiarato e l’effettivo è così ampia da essere vicina alle emissioni della Cina e comprendere il 23% del contributo totale dell’umanità al riscaldamento globale.

Il giornale americano è arrivato a tali conclusioni dopo aver confrontato i dati  che i Paesi hanno fornito alle Nazioni Unite in diversi formati e che sono andati ad aggiornare la UNFCCC – la  Convenzione delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici – con quelli forniti da altre organizzazioni e da enti indipendenti quali Fao o Copernicus. Il Post spiega che per effettuare la ricerca ha dovuto supplire alla mancanza di dati relativi ad alcuni anni nella UNFCCC utilizzando un modello statistico che avrebbe stimato il totale delle emissioni per ciascun paese nell’anno 2019.

Secondo l’Agenzia delle Nazioni Unite il divario identificato dal Post è dovuto “all’applicazione di diversi formati di segnalazione e all’incoerenza nella portata e nella tempestività della segnalazione (come tra paesi sviluppati e paesi in via di sviluppo)”. Tuttavia il Post segnala che la differenza è dovuta anche a rapporti che sono “incompleti”, ad errori che appaiono “intenzionali” e a regole “tracciate in modo discutibile”. Ciò che ne deriva è in ogni caso una sensibile sottostima delle emissioni che, secondo il giornale, ”è abbastanza grande da modificare la stima su quanto si riscalderà nei prossimi anni la Terra”.

I “trucchi” sulle emissioni di Co2

Secondo il Post il 59% del divario deriva dal modo in cui i Paesi segnalano le emissioni dal suolo, “un settore unico perché può sia favorire che danneggiare il clima”. La terra infatti può assorbire carbonio man mano che le piante crescono e il suolo lo immagazzina, oppure l’anidride carbonica può risalire nell’atmosfera quando le foreste vengono disboscate o bruciate e quando le torbiere vengono drenate e iniziano a emettere grandi quantità di Co2. Ecco che allora molti Paesi hanno tentato di compensare le emissioni derivanti dalla combustione di combustibili fossili affermando che il carbonio viene assorbito dai terreni all’interno dei loro confini. Secondo il Post “le regole delle Nazioni Unite consentono a Paesi come Cina, Russia e Stati Uniti di sottrarre ciascuno più di mezzo miliardo di tonnellate di emissioni annue in questo modo, e in futuro potrebbero consentire a questi e ad altri Paesi di continuare a rilasciare emissioni

che non si allineano con altri set di dati scientifici”. Più di 100 Paesi hanno firmato pochi giorni fa, alla conferenza Onu sul cambiamento del clima Cop26 di Glasgow, il nuovo Global Methane Pledge, un’iniziativa lanciata dagli Stati Uniti e dall’UE, che mira a ridurre le emissioni del 30% entro la fine del decennio. Ma alcuni dei Paesi responsabili di più emissioni di metano al mondo, tra cui Cina, Russia e India, non hanno aderito all’accordo.

Tra le emissioni sottostimate di gas ci sono anche quelle dei fluorurati. Sono i gas utilizzati nel condizionamento dell’aria, nella refrigerazione e nell’industria elettrica, e il Post ha scoperto che sono dozzine i Paesi che non segnalano affatto tali emissioni. Uno tra tutti il Vietnam, ad esempio, che ha riferito che le sue emissioni di gas fluorurati sono precipitate tra il 2013 e il 2016 a 23mila tonnellate di CO2 equivalente. Secondo l’Organizzazione Copernicus i dati del 2016 del Vietnam sono inferiori del 99,8% a quelli relativi alle emissioni reali. Quando il Post ha chiesto spiegazioni in merito al governo vietnamita, è stato risposto che “secondo studi recenti è stato provato che i gas fluorurati non fuoriescano dai sistemi di condizionamento o di refrigerazione”.

Perché il grande divario tra emissioni dichiarate ed effettive?

I grossi divari nelle statistiche sulle emissioni derivano soprattutto dal sistema di segnalazione delle Nazioni Unite. I paesi sviluppati hanno infatti alcuni standard che devono rispettare nelle loro segnalazioni. Ad esempio un limite di tempo per la segnalazione, nonché il dovere di fornire informazioni descrittive e numeriche dettagliate rispetto a tutte le emissioni e le rimozioni di gas serra (GHG), i fattori di emissione impliciti e i dati sull’attività. Tali standard non vengono però richiesti ai Paesi in via di sviluppo, che hanno così ampia libertà di decidere su come e quando segnalare le loro emissioni.

Anche quando i Paesi meno sviluppati riportano nei tempi corretti i dati sulle emissioni, questi sono però spesso colmi di imprecisioni. Il Post fa l’esempio della Repubblica Centrafricana, che nel 2010 ha dichiarato di aver assorbito, tramite i suoi terreni, 1,8 miliardi di tonnellate di anidride carbonica. Una quantità “immensa e improbabile” e che, sottolinea il Post “compenserebbe in modo efficace le emissioni annuali della Russia”.

Ci sono poi 45 paesi che, stando a quanto riporta il Post, non avrebbero segnalato alcun aumento di gas serra dal 2009. L’Algeria, uno dei principali produttori di petrolio e gas, non ha più presentato rilevazioni dal 2000. La Libia, un altro importante esportatore di energia, non ha mai riportato i dati sulle sue emissioni. Il Turkmenistan, la cui economia è alimentata da petrolio e gas, non realizza un rapporto sulle emissioni dal 2010, sebbene negli ultimi anni sia stata ripetutamente criticata per importanti perdite di metano. Tra i Paesi che hanno realizzato

importanti sottostime delle emissioni c’è anche l’Australia. Uno studio realizzato da Philippe Ciais, scienziato del Laboratorio francese di scienze del clima e dell’ambiente, insieme ai suoi colleghi, ha rivelato come il Paese abbia “truffato” sulle emissioni di protossido di azoto – un potente agente di riscaldamento che proviene principalmente dall’agricoltura – relative al 2016, dichiarandone tre volte in meno di quelle effettive. Il dato è stato confermato dal rapporto del Fao, visionato dal Post.

Ciais, che ha effettuato ricerche anche a proposito del Brasile, spiega che un altro fattore per cui i rapporti delle Nazioni Unite sono incompleti è che “le linee guida di reporting delle Nazioni Unite attualmente non richiedono alcuna misurazione atmosferica o satellitare, nota come approccio ‘top-down’”. Piuttosto, le linee guida chiedono ai contabili scientifici di ogni paese di quantificare i livelli di una particolare attività. “Ciò include il numero di mucche, la quantità di fertilizzante utilizzata o la quantità di torbiere convertite in terre coltivate in un determinato anno. Quindi, i paesi moltiplicano quelle unità per un ‘fattore di emissione’ – una stima della quantità di gas prodotta da ciascuna attività – per determinare un totale di emissioni”. Una cifra spesso molto imprecisa.

“Non mi sorprende affatto che il vostro giornale abbia trovato tutti i tipi di discrepanze tra i dati o che i Paesi stiano giocando ad alcuni giochi in campo climatico” ha commentato al Post Dan Reifsnyder, un ex funzionario degli Stati Uniti che ha co-presieduto i negoziati per l’accordo di Parigi. “Il settore climatico è un’area molto fertile da esplorare”. Il rapporto del Washington Post arriva nella seconda e ultima settimana di colloqui della Cop26. E sembra voler avvertire l’opinione pubblica che qualunque risultato ottenuto nella marcia alla salvaguardia del clima non sarebbe comunque sufficiente, poiché fondato su dati inesatti.

Fonte: Huffpost

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