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Confindustria. Industria italiana settima al mondo. Seconda in Ue dopo la Germania

Confindustria. Industria italiana settima al mondo. Seconda in Ue dopo la Germania

Il Centro studi di Confindustria ha redatto l’ultimo rapporto sugli scenari industriali. Nella classifica dei principali produttori manifatturieri

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Il Centro studi di Confindustria ha redatto l’ultimo rapporto sugli scenari industriali. Nella classifica dei principali produttori manifatturieri globali stilata annualmente dal Csc non si registrano cambiamenti di rilievo nel 2016. Cina e Stati Uniti rimangono saldamente in testa con quote di valore aggiunto mondiale in dollari correnti rispettivamente del 29,5% e del 19%, stabili rispetto al 2015, mentre il Giappone, al terzo posto, vede la propria quota tornare a crescere per la prima volta dal 2010, attestandosi all’8,4%. Stabile anche la settima posizione dell’Italia, con una quota costante del 2,3%, seconda potenza industriale europea dietro la Germania, al quarto posto, con una quota del 5,9%. Davanti all’Italia restano l’India e la Corea del Sud. Tra i primi quindici produttori mondiali, gli unici a perdere posizioni sono il Brasile e la Russia, scesi rispettivamente al tredicesimo e quindicesimo posto per effetto delle gravi recessioni che li hanno colpiti a partire dal 2014. Secondo il Csc la maggiore performance europea di questi anni è stata in Germania e Spagna (rispettivamente +2,5% e +3,2%), ma anche l’Italia “è tornata finalmente a crescere, con un +1,5% superiore, seppur di poco, al +1,4% della Francia”. Dal rapporto emerge che a livello settoriale l’automotive è stato di gran lunga il settore più importante per trainare la ripresa in Occidente nel periodo 2013-2016. Con la partenza di un nuovo ciclo globale degli investimenti, “è probabile che il testimone stia passando ai macchinari e alla loro filiera”. Il direttore del Csc, Luca Paolazzi ha spiegato che “L’industria è ripartita a trainare il Pil nel mondo e anche in Italia”. Il differenziale tra la crescita reale del valore aggiunto manifatturiero e quella del Pil è di +0,9 punti percentuali; in Italia è il medesimo. L’Italia infatti “ha ben agganciato la ripresa industriale dell’Area euro, che dal 2013 risulta superiore a quella degli Stati Uniti e del Giappone: +2,3% contro +0,9% e +2,1% le corrispondenti variazioni medie annue tra il 2013 e il 2016”.  Il Csc ha osservato che il recupero dell’industria italiana, tuttavia, “sta avvenendo nonostante una crescita ancora troppo debole dei prestiti alle imprese del settore. Con uno sviluppo dei mercati dei capitali alternativi tuttora contenuto, nonostante gli indubbi recenti progressi, la risalita economica è stata finanziata finora in gran parte dal recupero della redditività delle imprese e quindi dall’autofinanziamento”. Il recupero dei margini è legato in larga misura al calo dei prezzi degli input, specie materie prime, e non al Clup, che dal 2007 al 2016 è aumentato di un corposo 15,2%, “erodendo ulteriormente la competitività di costo delle imprese italiane rispetto alle tedesche, francesi e spagnole”. Poiché “i margini industriali rischiano di essere erosi da un rialzo delle commodity, è cruciale che avvenga finalmente la ripartenza del credito bancario alle imprese per rendere durevole il rilancio produttivo”. Quanto al mondo del lavoro l’occupazione nel manifatturiero italiano è complessivamente “calata di quasi 800 mila unità (-17,1%)” dall’autunno 2017 all’inverno 2015 anche se dalla primavera del 2015 “si osserva un cambiamento di rotta: il monte ore lavorate è aumentato del 5,2% (fino a metà 2017), soprattutto per l’allungamento degli orari di lavoro: l’occupazione ha fatto registrare un +1,5%, circa 60mila addetti in più.

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