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Quote rosa e stipendi parificatiLe nuove direttive dell’Ue per l’uguaglianza di genere

Il Parlamento europeo ha approvato due provvedimenti che prevedono il 40% di presenze femminili nei direttivi aziendali e la trasparenza nelle retribuzioni. Dopo la conferma dell’Eurocamera, iniziano i negoziati con gli Stati membri

Quote rosa e stipendi parificatiLe nuove direttive dell’Ue per l’uguaglianza di genere

Sessantotto su cento. È ancora troppo basso il punteggio dell’Unione europea nel Gender Equality Index, l’analisi condotta annualmente dall’Eige, l’Is

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Sessantotto su cento. È ancora troppo basso il punteggio dell’Unione europea nel Gender Equality Index, l’analisi condotta annualmente dall’Eige, l’Istituto europeo per l’uguaglianza di genere, sulle pari opportunità concesse a uomini e donne in tutti gli aspetti della vita.

Questa differenza si fa ancora più marcata quando si sale di grado o si parla di compensi: la minore presenza femminile negli organi decisionali delle aziende e il divario salariale sono questioni ancora irrisolte per le istituzioni europee. Nonostante l’incremento registrato negli ultimi anni, ad esempio, le donne rappresentano solo il 30,6% dei componenti dei board nelle più grandi imprese dell’Unione. E la percentuale scende al 7,8% per quanto riguarda le figure femminili al comando, secondo gli ultimi dati dell’istituto Jacques Delors, con un imbarazzante 0% in alcuni Paesi: Italia, Lussemburgo, Lettonia e Ungheria.

In realtà, un sistema legalmente vincolante di «quote rosa» nei direttivi è già presente in nove Stati europei: Italia, Spagna, Belgio, Francia, Germania, Paesi Bassi, Grecia, Austria e Portogallo. Altri, come Svezia, Danimarca e Finlandia, promuovono incentivi e misure meno stringenti, mentre 11 membri dell’Unione non hanno preso alcuna iniziativa in questo senso. Il risultato è un quadro molto frammentato, perché i Paesi decidono in modo autonomo quali aziende includere nell’obbligo (in Francia ad esempio sono solo quelle con oltre mille dipendenti), quale percentuale rosa imporre e quali sanzioni prevedere per chi non si adegua, dalle multe all’annullamento dei contratti di designazione.

Il risultato positivo è evidente: la quota delle donne con incarichi negli organi di amministrazione e di controllo è in crescita dall’anno di adozione della legge, e «porta la presenza femminile ai massimi storici», si legge nell’ultima relazione sul tema.

Trasparenza per l’uguaglianza
Un’altra misura che può risultare molto efficace per l’uguaglianza di genere a livello lavorativo è una direttiva sulla trasparenza nei sistemi retributivi delle aziende private, che negli auspici della Commissione servirà a ridurre le differenze salariali. Nell’Unione, infatti, le donne guadagnano in media il 13% in meno degli uomini, con punte di divario di oltre il 20% in Estonia e Lettonia, secondo gli ultimi dati Eurostat. Eppure, «ciascuno Stato membro assicura l’applicazione del principio della parità di retribuzione tra lavoratori di sesso maschile e di sesso femminile», si legge all’articolo 157 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea.

«Questa direttiva è un passo importante verso l’uguaglianza di genere: un segnale che non accetteremo più la discriminazione retributiva fra uomini e donne», ha detto l’eurodeputata danese del gruppo Verdi/Alleanza Libera per l’Europa Kira Marie Peter-Hansen, co-relatrice dell’Eurocamera.

Lavoratori e sindacati devono avere il diritto di conoscere gli stipendi all’interno dell’azienda, sia in media che a livello individuale, per individuare eventuali discrepanze fra uomini e donne. A questo proposito, si dovrebbero vietare quei contratti che impongono all’assunto di non rivelare il proprio compenso ed eliminare tutti i sistemi di restrizione delle informazioni che le imprese possono mettere in campo per tenere nascosto l’ammontare delle retribuzioni.

Se la valutazione mostra un gender pay gap superiore al 2,5%, il datore di lavoro dev’essere tenuto a condurre un’indagine insieme ai rappresentanti dei lavoratori e produrre un piano d’azione per eliminarlo. Le aziende oggetto della norma, secondo i parlamentari, dovranno essere tutte quelle con almeno 50 dipendenti, mentre la Commissione aveva proposto che fosse applicata soltanto a partire dai 250 impiegati.

Ma soprattutto, il Parlamento sostiene l’inversione dell’onere della prova nel caso in cui un lavoratore (o, più spesso, una lavoratrice) ritenga violato il principio della parità di retribuzione: le legislazioni nazionali derivanti dalla direttiva dovrebbero obbligare l’azienda a dimostrare il contrario.

Infine, la Commissione europea dovrebbe creare un’etichetta ufficiale per premiare quelle realtà produttive dove non esiste discriminazione salariale: una sorta di «marchio di sostenibilità di genere», che ne aumenterebbe il prestigio e probabilmente le vendite. Perché gli incentivi economici possono contribuire significativamente a raggiungere l’uguaglianza di genere: un obiettivo sancito dall’Onu nella sua agenda per il 2030 e un obbligo morale per tutti.

Fonte: Linkiesta

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