HomeAgriculture, Automotive, Texiles, Fashion & Other

A chi appartiene una replica virtuale del nostro cervello?

Diverse aziende lavorano allo sviluppo di “gemelli digitali” di organi umani, che potrebbero fornire un grande aiuto per capire meglio e contrastare in modo personalizzato diverse malattie: generando però un dibattito sugli aspetti etici e legali controversi

A chi appartiene una replica virtuale del nostro cervello?

I gemelli digitali - rappresentazioni virtuali di elementi che esistono nel mondo reale - sono già un pilastro nel settore della produzione,

Sembra un paradosso, ma dimenticare è una forma di apprendimento. Lo studio sull’oblio
L’illusione ottica che ci insegna come funziona il nostro cervello
Il cervello umano si è ridotto di dimensioni tremila anni fa

gemelli digitali – rappresentazioni virtuali di elementi che esistono nel mondo reale – sono già un pilastro nel settore della produzione, dell’industria e in campo aerospaziale: esistono doppioni digitali di città, porti e centrali elettriche. Il termine è stato introdotto per la prima volta nel 2010 dal ricercatore della Nasa John Vickers in un rapporto sulle roadmap tecnologiche dell’agenzia e gli analisti del settore stimano che il mercato dei gemelli digitali potrebbe raggiungere quasi cinquanta miliardi di dollari entro il 2026.

Non ci è voluto molto prima che l’idea facesse capolino nella biologia. Nel 2016, Bill Ruh, allora amministratore di Ge Digital, aveva previsto che in futuro “avremo un gemello digitale dalla nascita, che prenderà dati dai sensori di cui tutti saremo dotati e sarà in grado fare previsioni su malattie come i tumori“. Un gemello digitale potrebbe essere usato come base per sviluppare terapie su misura per un paziente e prevedere il decorso della sua malattia. Potrebbe anche essere usato per testare possibile cure invece che sperimentarle direttamente su un paziente, un processo che può presentare molti di rischi.

Ora i ricercatori puntano a  un obiettivo decisamente più ambizioso: replicare il cervello umano. Neurotwin, un progetto finanziato dall’Unione europea, si ripropone di progettare un modello computerizzato del cervello di un paziente.

Il gruppo che lavora a Neurotwin spera che il modello possa essere utilizzato per prevedere gli effetti della stimolazione nelle cure dei disturbi neurologici, come l’epilessia e il morbo di Alzheimer. Il team sta sviluppando una sperimentazione clinica che prenderà il via il prossimo anno e creerà gemelli digitali di circa sessanta pazienti affetti da Alzheimer, che riceveranno un trattamento di stimolazione cerebrale ottimizzato in modo specifico per il loro cervello. Un secondo studio clinico previsto per il 2023 farà lo stesso, ma per i pazienti con epilessia focale resistente alle cure. In entrambi i casi si tratta di esperimenti finalizzati a determinare se l’approccio funziona ed è in grado migliorare l’esito delle cure per questi pazienti. In caso di successo, il team prevede di impiegare la tecnologia per studiare altri aspetti del cervello, come quelli coinvolti nella sclerosi multipla, nella riabilitazione da ictus, nella depressione e negli effetti delle sostanze psichedeliche.

La replica digitale consiste essenzialmente in un modello matematico eseguito da un computer, spiega Giulio Ruffini, coordinatore del progetto Neurotwin, oltre che responsabile scientifico e cofondatore di Neuroelectrics, una startup tecnologica sanitaria spagnola che sta sviluppando terapie non invasive rivolte a disturbi neurologici come l’epilessia .Per creare un doppione digitale del cervello di un paziente con epilessia, il team di Neurotwin preleva l’equivalente di circa mezz’ora di dati da una risonanza magnetica e più o meno dieci minuti di letture prodotte da un elettroencefalogramma, usandoli per creare un modello computerizzato che registra l’attività elettrica del cervello, oltre che per simulare in modo realistico i tessuti principali del cervello, insieme a cuoio capelluto, cranio, liquido cerebrospinale e sostanza grigia e bianca.

Il gemello digitale comprenderà una rete di “modelli di massa neurale” integrati, spiega Ruffini. In sostanza, aggiunge, si tratta di modelli computazionali del comportamento medio di diversi neuroni collegati tra loro utilizzando il cosiddetto “connettoma” del paziente, una mappa delle connessioni neurali nel cervello. Nel caso dell’epilessia, ad alcune aree del connettoma potrebbe capitare di essere eccessivamente stimolate; nel caso di un ictus, per esempio, il connettoma potrebbe essere alterato. Una volta creato, il gemello digitale può essere usato per ottimizzare la stimolazione del cervello del paziente, “dal momento che  sul computer è possibile eseguire infinite simulazioni fino a trovare ciò di cui si ha bisogno – dice Ruffini –. In questo senso, è come un modello computazionale di previsioni del tempo“.

Ad esempio, per migliorare le terapie di una persona affetta da epilessia, il paziente in questione dovrebbe indossare per venti minuti al giorno una sorta di casco che trasmette stimolazioni elettriche transcraniche al suo cervello. Usando il gemello digitale, Ruffini e il suo team potrebbero poi ottimizzare la posizione degli elettrodi, così come il livello di corrente applicata.

La questione etica

La replicazione digitale di qualsiasi organo apre a tutta una serie di domande di natura etica. Per esempio, un paziente avrebbe il diritto di sapere – o di non voler sapere – se il suo gemello predicesse che avrà un infarto nel giro di due settimane? Cosa succede al gemello dopo la morte del paziente? Godrà di diritti giuridici o etici?

Da un lato, i gemelli virtuali del corpo umano offrono percorsi stimolanti e rivoluzionari per lo sviluppo di nuove terapie, spiega Matthias Braun, un eticista dell’Università di Erlangen-Nürnberg, in Germania, che ha scritto di questioni etiche legate all’uso dei gemelli digitali in campo sanitario. “Ma, d’altra parte, presenta delle difficoltà“, continua. Per esempio, a chi dovrebbe appartenere un gemello digitale? All’azienda che lo costruisce?

Ana Maiques, amministratrice delegata di Neuroelectrics, sostiene che l’azienda si sta già occupando di cosa succede ai dati estremamente personali alla base di un gemello digitale: “Quando si fanno questi tipi di personalizzazioni, ci si deve porre domande difficili. Di chi saranno quei dati? Cosa ne verrà fatto?“, dice.

Il progetto ha reclutato ricercatori per studiare nel dettaglio le componenti etiche e filosofiche del progetto, tra cui Manuel Guerrero, un neuroeticista dell’Università di Uppsala, in Svezia. Nel caso di Neurotwin, che ha sede in Europa, i dati raccolti saranno protetti dalle norme generali sulla protezione dei dati dell’Unione europea (Gdpr). Questo significa che qualsiasi uso dei dati richiederà il consenso del suo proprietario, spiega Guerrero.

Guerrero e il suo team si stanno anche chiedendo se il termine “gemello digitale“, che è stato inizialmente coniato per la produzione, è ancora l’espressione più appropriata quando si parla di replicare una cosa così intricata e dinamica come un cervello o un cuore vivente. È possibile che diventi fonte di incomprensioni o alzi troppo le aspettative della società?

Occuparsi del cervello, inoltre, è un’impresa infinitamente più difficile rispetto alla creazione di un cuore o un rene, oltre ad essere potenzialmente più complessa dal punto di vista etico. “Stiamo creando modelli computazionali piuttosto sofisticati del cervello – racconta Ruffini -. Ad un certo punto, penso che il confine che separa un gemello digitale da un essere senziente si far meno netto“.

Braun dice che è il momento di fare i conti con queste domande delicate: “Per me, sono sfide davvero importanti che dobbiamo affrontare ora – spiega –. Sappiamo cosa succede se ci si limita a dire: ‘Beh, sviluppiamo una tecnologia e poi vedremo’“, aggiunge, mettendo in guardia dai pericoli derivanti dal rimandare le riflessioni sulle conseguenze etiche e morali a data da destinarsi.

Il team di Neurotwin sostiene però che, se realizzati nel modo giusto, i gemelli digitale potrebbero migliorare drasticamente sia lo stato dei pazienti che la nostra comprensione dei disturbi cerebrali difficili da trattare. “Stiamo lavorando per aiutare davvero le persone che soffrono di malattie cerebrali da una prospettiva completamente diversa – dice Maiques –. Ci piace definirla come una nuova categoria di terapie, che sfruttano realmente il potere della fisica e della matematica per decodificare il cervello“.

Fonte: Wired.it

Commenti