HomeAgriculture, Automotive, Texiles, Fashion & Other

Lavoro e partecipazione: come le multinazionali hanno vinto la lotta di classe

Lavoro e partecipazione: come le multinazionali hanno vinto la lotta di classe

Dove ci eravamo lasciati? Si parlava di alternanza scuola lavoro. Nel nostro ultimo ragionamento, abbiamo avuto modo di evidenziare come sussista una

Draghi: “obiettivo del governo è quello di rilanciare la crescita”
Istat. Tasso di disoccupazione stabile all’11,1% ad ottobre
Ocse. La disoccupazione cala al 5,5% a dicembre

Dove ci eravamo lasciati? Si parlava di alternanza scuola lavoro. Nel nostro ultimo ragionamento, abbiamo avuto modo di evidenziare come sussista una divaricazione drammatica tra le disposizioni formali in materia di lavoro e la loro effettiva declinazione. In merito a quelle questioni, ad esempio, abbiamo provato ad argomentare come quelli che formalmente dovrebbero essere percorsi formativi in realtà si trasformano in strettoie di sfruttamento e alienazione: contratti formalmente solo formativi, come lo stage, diventano illecitamente ma de facto contratti di lavoro, privi anche delle più basilari tutele previste per il contratto di lavoro.

Vale per tutto: l’esempio dei morti sul lavoro

Abbiamo anche accennato al tema di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro: a fronte di una normativa decisamente protettiva, nel 2021 ci siamo trovati a contare circa mille morti, una vera e propria carneficina sotto i nostri occhi. Carneficina portata all’attenzione dell’opinione pubblica per piccole parentesi di sensazionalismo, per poi essere richiusa nella più ignava indifferenza. Qualcuno potrebbe avere la sensazione che si salti di palo in frasca: il filo rosso è sempre lo stesso e proviamo a dimostrarlo. Quando si ragiona di salute e sicurezza sui luoghi di lavoro il testo di riferimento è ovviamente l’articolo 2087 del codice civile, il quale prescrive una norma decisamente lineare: «L’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro». La norma trae legittimazione dalla stessa Costituzione, dagli articoli 37 e 41 in particolare. Ebbene è un concetto di sicurezza dinamico, elastico, mutevole: le misure devono essere appunto adeguate alla particolarità dell’attività, alla esperienza che via via viene maturata, ma anche all’evoluzione della tecnica. L’idea è quella di una normativa che tenda ad aumentare, a migliorare, a proteggere sempre di più.

Un altro testo è di vitale importanza per la materia: il Testo unico sulla salute e sicurezza sul lavoro (d.lgs. 81/2008). Ebbene nel testo potrete trovare una vera e propria definizione del concetto di salute ed è estremamente interessante, infatti la lavoratrice e il lavoratore hanno diritto a prestare la propria opera in uno «stato di completo benessere fisico, mentale e sociale, non consistente solo in un’assenza di malat­tia o d’infermità». Avete capito bene: non basta essere protetti da infortuni e malattie: le persone hanno diritto al benessere, al godimento di un luogo di lavoro che infonda loro un senso di piacere.

Il filo rosso: la divaricazione delle regole

Questo è il filo rosso tra le due vicende: a fronte di disposizioni formalmente di un certo tipo, assistiamo ad una realtà che va in una direzione radicalmente diversa, opposta direi. Le regole materiali (quelle che siamo effettivamente e realisticamente costretti a rispettare ogni giorno sui luoghi di lavoro) disciplinano le relazioni e i conflitti tra le parti disegnando un mondo assai lontano da quello prescritto dalle disposizioni di legge e di contratto. Qualsiasi comparatista serio (personalmente il mio ambito di ricerca è questo: cerco di applicare il comparativismo al diritto del lavoro) vi evidenzierebbe che quanto descritto non caratterizza il solo diritto del lavoro: riguarda qualsiasi ramo del diritto, persino costituzionale (non a caso Costantino Mortati distingueva la Costituzione formale da quella materiale) e dopotutto da sempre normativisti e istituzionalisti se ne danno di santa ragione. A proposito di Costituzione, ad esempio, vi pare applicato quanto previsto dall’art. 36 laddove si stabilisce che «il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa»? Credete si rispetti la prescrizione dell’art. 4, il quale stabilisce come la «Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto»?

La specificità del diritto del lavoro

Il diritto del lavoro ha però una specificità sua propria e la cosa è peculiare e comporta ricadute decisamente gravi. Francesco Santoro Passarelli, uno dei padri della nostra materia, non mancò autorevolmente di evidenziare come il contratto di lavoro comporti una partecipazione totale della persona del lavoratore, la sua stessa partecipazione fisica, quella del suo stesso «essere che è condizione dell’avere e di ogni altro bene». Se non comprendiamo questo aspetto, parleremo e ragioneremo per anni di fuffa, di un mondo che non esiste, ignorando l’esistenza un sistema che si autoregola, autonomamente. Un complesso che per sé detta le regole, non potrà che farlo seguendo le dinamiche imposte dalla parte più forte, da quella che riesce ad imporre la propria volontà sulla comunità: questa, purtroppo e da tempo, non è rappresentata dalle lavoratrici e dai lavoratori.

«Libertà è partecipazione» cantava Gaber

Il punto cruciale della vicenda consiste nel riflettere su quali processi mettano in moto virtuose dinamiche di effettività delle regole in materia di lavoro: in poche parole, quali sono le condizioni, quali gli elementi, che messi in moto garantiscono un avvicinamento tra quanto prescritto dalle norme e quanto avviene nella realtà? Questa è la domanda delle domande, quella alla quale è necessario trovare una risposta seria e credibile.

I lavoratori devono cavarsela da sé, mediante quella che un tempo veniva definita “autotutela”: attraverso l’attivismo sindacale (in senso lato) e collettivo devono essere in grado di partecipare e di pretendere il rispetto delle regole, il miglioramento delle condizioni generali di lavoro. Questo è il punto vero, la chiave di volta, l’elemento che ci consente di comprendere bene cosa è accaduto in Italia (e non solo) nell’ultimo trentennio (almeno).

Leggiamo la Costituzione “formale”

Che sia necessaria la partecipazione democratica per affermare un certo modello di lavoro è sempre la Costituzione a dircelo, certamente all’articolo 1 («L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro»), ma anche e forse soprattutto all’art. 3 secondo comma: «È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese».

Dobbiamo interrogarci (purtroppo siamo costretti a farlo rapidamente) sulle attuali condizioni in essere e, alla luce di quanto detto sin qui, credo che possiamo farlo con una certa malizia perché, se davvero le attuali condizioni impediscono la partecipazione e da questa mancata partecipazione derivano dei vantaggi per qualcuno, allora dobbiamo ipotizzare che questo qualcuno abbia l’interesse a non mutarle quelle condizioni, magari a potenziarle persino, insistere nel percorso che le ha poste in essere.

La dura realtà della nostra Costituzione “materiale”

Prima di tutto la disoccupazione che ci affligge da tempo immemore: ne abbiamo un tasso importante e, soprattutto, costante. Incide eccome sulla propensione delle persone a partecipare: gli individui sono consapevoli che trovare un posto di lavoro sia complicatissimo ed è per questo che sono terrorizzati all’idea di perderlo. Se dalla partecipazione derivasse la perdita di impiego diviene fisiologico che prima di partecipare la persona ci pensi e non una, ma mille volte. A guadagnarci è l’impresa, spesso multinazionale, malintenzionata. Ecco perché qualcuno parla di disoccupazione funzionale, strutturale: essa serve a indebolire il potere contrattuale della comunità del lavoro: risolvere il problema occupazionale, perseguendo politiche espansive di piena occupazione (ex. art. 4 Cost.) significherebbe dunque rafforzare i lavoratori e non tutti lo desiderano, evidentemente.

Gli individui devono essere al riparo dalle eventuali ritorsioni alla partecipazione democratica, mediante un complesso sistema di protezioni individuali (ecco che dai diritti individuali si passerebbe a quelli collettivi, come dai civili ai politici): tali protezioni sono state tuttavia erose da un acido corrosivissimo: la precarietà.

Precarietà “del” lavoro

La precarietà del lavoro riguarda i contratti di lavoro: nel nostro paese la precarietà galoppa da trent’anni grazie alle numerosissime riforme succedutesi[1: il risultato drammatico è quello recentemente registrato secondo cui i lavoratori precari sarebbero oltre 3 milioni. Siamo quasi al record storico mai registrato e il numero tende certamente ad aumentare. Quasi la totalità del lavoro in ingresso è precario (spesso non è nemmeno formalmente lavoro: si pensi allo stage o, peggio ancora, al lavoro in nero). Parliamo di un esercito sterminato di ricattabili. Pensate a tutte queste persone che vivono la sensazione di essere costantemente sulla corda: un quotidiano precario ma ineludibile e ineluttabile per sopravvivere, perché di mera e indignitosa sopravvivenza si tratta, con la propria famiglia. Se perdono il loro instabile equilibrio precipitano nel baratro della disoccupazione: uscirne è difficilissimo.

Precarietà “nel” lavoro

E allora mi farete notare che non tutti hanno un contratto precario: c’è chi è stato assunto a tempo indeterminato. Si è intervenuti anche in tale ambito con diverse misure che hanno consolidato la precarietà nel lavoro realizzando un allentamento delle regole contro il controllo a distanza dei lavoratori, contro il demansionamento e contro il licenziamento illegittimo[2]: «un lavoratore, consapevole di essere sottoposto all’eventualità del controllo a distanza, inconsapevole del momento esatto in cui tale controllo sarà esercitato, conscio dell’eventuale demansionamento derivabile da quanto desunto, conscio dell’ulteriore possibilità riservata al datore di lavoro di licenziarlo pretestuosamente senza possibilità di reintegra: quanto sarà naturalmente propenso a denunciare un’ingiustizia, a reagire a un sopruso, a rivendicare per sé e per i suoi colleghi una migliore condizione di lavoro, a protestare in solidarietà di altri lavoratori sfruttati nel settore e in altri settori? E quanto questo lavoratore sarà invece più propenso a chiudere un occhio sul pagamento degli straordinari, sul mancato rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro, su eventuali abusi e discriminazioni legate al sesso o all’etnia, su indebite pressioni commerciali e su lesioni di diritto in generale?»[3].

Ecco che il cerchio si chiude mediante una strategia maleficamente perfetta: attaccando i diritti individuali (civili), si inibiscono quelli collettivi (politici) e conseguentemente si aboliscono di fatto quelli sociali.

Ci hanno ingannati: è ora di capirlo una volta per tutte

Non si voleva rilanciare l’occupazione, non si voleva modernizzare il mercato del lavoro e il paese, non si volevano attrarre capitali: era solo becera propaganda. Le riforme in materia di lavoro in Italia (e non solo) sono sempre state riforme di potere: si voleva porre la comunità del lavoro in una condizione di irrisolvibile subalternità, costringendola alla resa. Le ricadute si registrano sui luoghi di lavoro e non solo: in generale nel Paese, laddove i cittadini non sono più nelle condizioni di partecipare, con gravissimo nocumento per la nostra democrazia costituzionale.

Ancor peggio, perché si consideri che precarietà del e nel lavoro sono uno spicchio della vicenda: aggiungiamoci lo sterminato mondo del lavoro autonomo non tutelato, delle finte partite iva, della big economy, dello smart working non adeguatamente normato ed ecco che lo scenario assume contorni assolutamente disperati.

Fonte: Indipendente.online

Commenti