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Libia: l’elezione che non “s’ha da fare”

Libia: l’elezione che non “s’ha da fare”

La vigilia di Natale avrebbe dovuto marcare la nascita politica di una nuova Libia poggiata sulla “coesione” delle tre regioni, Tripolitania, Cirenaic

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La vigilia di Natale avrebbe dovuto marcare la nascita politica di una nuova Libia poggiata sulla “coesione” delle tre regioni, Tripolitania, Cirenaica e a traino il Fezzan. Tuttavia la sospensione del voto, a causa della mancanza di un accordo sui candidati, mina i tentativi di riconciliazione tra la Cirenaica e la Tripolitania.

Dovevano essere le elezioni che avrebbero dovuto condurre ad una riconciliazione; ma dopo dieci anni inquinati da forme di anarchia e dalla guerra civile, corroborate dalla sulfurea presenza di tutte le nazioni che si contendono le risorse dello stato nord africano, siamo al nulla di fatto. Infatti questo “risorgimento” libico, solennizzato in primavera dall’istituzione di un Governo di Unità Nazionale (Gun), e da avvicinamenti tra i campi rivali dell’Occidente (Tripolitania) e dell’Oriente (Cirenaica), avvenuti lentamente, ma fatalmente, è nuovamente sulle sponde di una palude. Così, mercoledì 22 dicembre a quarantotto ore dall’apertura dei seggi, la Commissione parlamentare con sede a Tobruk (Est), responsabile della procedura elettiva, è stata costretta a riconoscere l’impossibilità di organizzare tale consultazione per la mancanza di intesa tra le fazioni libiche, sia sulla lista dei candidati che sulle procedure.

Alla luce di quanto accaduto l’Hcen, ovvero l’Alta Commissione Elettorale Nazionale, che è un organismo indipendente, ha immediatamente proposto di posticipare le elezioni al 24 gennaio 2022, ma tale possibilità pare improbabile data la complessità dei punti di disaccordo. Di conseguenza le successive elezioni legislative è probabile che non sopravvivranno all’assenza di elezioni presidenziali.

Era molto atteso questo primo ritorno alle urne dopo sette anni; era anche molto attesa la nuova classe politica che sarebbe uscita dalle urne, e che avrebbe definitivamente espulso quei vecchi politicanti che, “vestiti con abiti forniti da altri”, hanno fatto sprofondare il Paese nel caos dopo la fatale rivoluzione del 2011 che spodestò infaustamente Muammar Gheddafi. È evidente che dal 2014 le varie Fazioni, che di politico hanno nulla, hanno potuto inserirsi e immischiarsi in affari ed operazioni basate su profitti finanziari e militari, legati alle rendite petrolifere e ad ogni forma di commercio, quindi non erano, ovviamente, né pronte né bramose di impegnarsi in un percorso elettorale che sicuramente scardinerebbe la loro rete di business. Nonostante subdole e socialmente nocive, operazioni interne tese ha sabotare le elezioni, le Nazioni Unite e le capitali occidentali, nonostante la fragilità della base giuridica libica, spingono per riorganizzare e calendarizzare lo svolgimento delle votazioni. Come accennato, un soffio di speranza e di ottimismo aveva avvolto la Libia a marzo quando, grazie alla mediazione Onu, si è costituito il Governo di Unità Nazionale guidato da Abdelhamid Dbeibah, un uomo d’affari di Misurata sostenuto da eterogenei gruppi. Infatti Dbeibah era riuscito nella difficile opera di raccogliere intorno a sé i rappresentanti dei due blocchi politico-militari della Cirenaica, de facto controllata dalla pretoriana figura del maresciallo Khalifa Belqasim Haftar, e della Tripolitania sostenuta da un complesso e articolato sistema di personaggi politici e  Fazioni/milizie, parte ideologicamente legate alla corrente che depose Muammar Gheddafi, e che approfittò della fase in cui il Paese si stava dividendo, per occupare spazi gestionali strategici. Ma ovviamente il peso delle varie fazioni autoctone è sempre stato regolato dal peso delle nazioni che sedevano ad oriente o ad occidente del capezzale libico.

Le figure principali che si sono candidate alla presidenza della Libia sono il figlio più giovane di Gheddafi, Seif al-Islam, il maresciallo Khalifa Haftar, “autocrate” della Cirenaica, ambedue accusati, con giudizio diverso, di crimini contro l’Umanità, e Abdelhamid Dbeibah, attuale primo ministro.

In previsione di una possibile ricomposizione del panorama politico, e soprattutto il preannunciato stop alle elezioni presidenziali, ha portato, martedì, due importanti candidati della Libia occidentale a recarsi per la prima volta in visita a Bengasi, dove hanno incontrato il maresciallo Haftar.

In Libia la tensione sociale è alta. È evidente che questa condizione di cronica insicurezza gioca a favore di Dbeibah, che mantenendo il  potere può rafforzare la sua popolarità e accrescere il suo controllo sulle istituzioni. Ma il mantenimento di questo status quo è inaccettabile per gli avversari politici, che minacciano di fare azioni di forza. Alcuni giorni fa a Sebha, nel sud della Libia, si sono verificati scontri tra i sostenitori di due candidati alla presidenza, quelli del maresciallo Haftar, contro quelli che sostengono Seif Al Islam Gheddafi. È chiaro che l’ONU è ormai al collasso, e ciò porta la Libia a fare un grande passo indietro, riaccendendo tensioni armate e esacerbate divisioni politiche. In questo contesto di confusione massima, l’Onu, disastrata, sta cercando di riprendere il controllo della situazione. Dopo le dimissioni, a novembre, dell’inviato speciale Onu, il debole Jan Kubis, il 12 dicembre la statunitense Stephanie Williams, è arrivata in Libia per tentare di riprendere i contatti con le parti in lotta, ma si è trovata immersa nell’ennesimo disastro della diplomazia internazionale. Un avvicendamento quello degli inviati speciali delle Nazioni Unite, che forse è arrivato troppo tardi, anche perché i veri contendenti che competono per la presidenza libica, già controllano i propri territori, vedi Haftar e Seif al Islam Gheddafi, i quali difficilmente metterebbero a rischio il loro potere con le elezioni, se non con la garanzie di restare comunque “in sella”.

Fonte: Nuovogiornalenazionale.it

 

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