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Centralizzazione della Rete: realtà e utopie

L’ex Ceo di Twitter Jack Dorsey si pente di avere contribuito alla centralizzazione delle informazioni. Cosa intende dire? Mera dialettica o c’è un seme di realtà? Due riflessioni facili sulla centralità della Rete e sulle alternative

Centralizzazione della Rete: realtà e utopie

Quello della centralità della Rete è tema che si guadagna continui quarti d’ora di notorietà, spesso in termini negativi. L’ultimo, in ordine di tempo

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Quello della centralità della Rete è tema che si guadagna continui quarti d’ora di notorietà, spesso in termini negativi. L’ultimo, in ordine di tempo, ad avere rispolverato il problema è l’ex Ceo di Twitter, Jack Dorsey, che ha provveduto a un mea culpa digitale, parlando della centralità delle informazioni.

Una sorta di nostalgia per i tempi del Web 1.0, quando la centralizzazione della Rete – almeno come la intende l’ex Ceo di Twitter – era ancora da venire. “Mi rendo conto di essere in parte colpevole e me ne pento”, conclude Dorsey. Occorre però comprendere cos’è la centralità della Rete, se ci sono alternative e, non da ultimo, se è tanto tremenda come la si dipinge. Per farlo ci siamo avvalsi del parere dell’ingegnere Giuliano Noci, Responsabile scientifico dell’Osservatorio internet media del Politecnico di Milano.

La centralità di Internet non è né cosa nuova né cosa che cade interamente sulle spalle di Twitter, di Meta, di Alphabet e delle altre grandi società che accentrano nelle proprie mani tecnologie e informazioni ma va ricercata a monte: “Fino a questo momento abbiamo vissuto una dinamica di gestione di Internet per definizione centralizzata e integrata con una registration authority americana, un’architettura con un orchestratore americano. Da un lato la rilevanza che i dati assumono nelle strategie di impresa e dall’altro la situazione geopolitica in atto comincia a essere un problema” spiega Noci.

Correva l’anno 2019 e l’ex Ceo di Twitter, interrogandosi, chiedeva ai propri follower di pronunciarsi sull’eventuale decentralizzazione delle reti sociali, ipotizzando che Twitter stesso potesse virare verso una soluzione Open source.

Considerando però che i social media corrono sul Web e che questo sottostà a una politica di centralizzazione, Dorsey ha solo parzialmente diritto di cospargersi il capo di cenere, soprattutto perché l’ammettere una colpa è azione orfana se non è accompagnata da soluzioni attuabili.

La dispersione di Diaspora e il Web3.0

Nel 2010 è nata Diaspora, una rete sociale decentralizzata pensata per fare in modo che gli utenti fossero gli unici titolari dei propri dati. Una risorsa Open source che permette la creazione di server (chiamati Pod) verso i quali indirizzare il traffico. Le parole chiave di Diaspora sono decentralizzazione, libertà e riservatezza. Esiste ancora ma la rivoluzione che aveva annunciato non c’è stata.

La cryptointernet, il Web3.0 basato sulla blockchain è un oggetto da definire. Anche Dorsey, nel rispondere a una provocazione di Elon Musk, ha implicitamente ammesso di avere idee poco chiare.

Ma quali le alternative realizzabili alla centralità? “Innanzitutto occorrerebbe una cosa molto difficile, un’architettura condivisa di modalità di gestione dei dati. Il fatto che questi sottostiano alle normative dei Paesi in cui risiedono i server che li ospitano rende necessaria una normativa di gestione dei dati uniforme ed è evidente che questo sia molto difficile. In secondo luogo sarebbe necessaria una governance di internet meno a trazione americana. Questi due elementi mi sembrano prerequisiti per la gestione di una Rete che ha un’importanza strategica competitiva ed economica”.

Sembra che Dorsey confonda causa ed effetto. Twitter ha sfruttato la centralità della Rete e non ne è stata artefice e, soprattutto, neppure Dorsey avrebbe potuto immaginare quale sarebbe stato il destino della sua creatura. “Trent’anni fa, continua Noci, era tutto un esperimento e non si capiva quale fosse la traiettoria evolutiva, adesso senza Internet non avviene nulla. Internet è un’infrastruttura strategica che avrebbe bisogno di governance e di meccanismi di governance unitari e integrati e, siccome questo probabilmente non sarà possibile, dalla centralizzazione andremo verso strutture decentrate”.

La centralità della Rete finisce sotto accusa con il senno di poi. La penetrazione di Internet è stata spasmodica e incontrollata e mentre la centralità si radicava sempre di più, nessuno per molto tempo ha avuto da ridire sull’accentramento americano della governance. Ma c’è spazio per rimediare: “Se parlassimo di una Rete centralizzata e integrata non sarebbe un male, è chiaro che se è centralizzata a base esclusivamente americana e ci sono normative eterogenee è un caos peraltro non più accettabile. La Cina, per esempio, non vede di buon occhio che tutto venga gestito dagli americani. La centralizzazione non è di per sé un male se la governance funzionasse”. Il futuro sembra essere segnato dalla Splinternet: “Andremo verso uno split di internet, sistemi decentrati che comunicheranno tra loro”, conclude Noci.

Nel caso di Twitter, medium declinato alle notizie di prima mano, la centralità non è affatto un male, anche perché – al netto di qualche opera di censura selettiva – garantisce pluralità di voci. Sotto l’egida di diverse authority e quindi di diverse norme, questa pluralità sarebbe ancora garantita o rientrerebbe sotto le logiche a geometrie variabili di questo o quel Paese? Possiamo soltanto abbozzare una risposta considerando le aree del mondo nelle quali, oggi, la libertà di parola è principio più o meno garantito. Ciò non toglie che, Twitter come ogni altra risorsa Web, è diventato ciò che è anche grazie alla regia americana della Rete.

Fonte: Repubblica.it

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