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Basta un blackout dei social per farci smettere di vivere

Come ormai sappiamo da moltissimo tempo siamo arrivati a un punto di non ritorno: i social che un tempo ci servivano “per farci connettere con gli amici” ci hanno ingabbiato e ormai non possiamo più far a meno di loro per vivere.

Basta un blackout dei social per farci smettere di vivere

Mettere in pausa la nostra vita, la nostra routine quotidiana a causa del blackout generale dei social gestiti da Mark Zuckerberg ovvero Facebook, Mes

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Mettere in pausa la nostra vita, la nostra routine quotidiana a causa del blackout generale dei social gestiti da Mark Zuckerberg ovvero Facebook, Messenger, Instagram e WhatsApp. Questo è quello che è accaduto lunedì alle 17:50 quando abbiamo riscoperto, (facevamo solamente finta di non saperlo) che non possiamo più fare a meno di questi social che sono diventati parte integrante della nostra vita.

È strano ma non ci siamo ancora resi conto di come, al giorno d’oggi, si vive solamente online: ogni giorno ci svegliamo guardando le notifiche dei vari social come i messaggi inviati dai nostri amici su WhatsApp o le ultime foto e stories postate su Instagram e Facebook.

La nostra interazione con loro però non finisce qui: raccontiamo letteralmente quasi ogni momento della nostra giornata su delle stories Instagram, viviamo attraverso uno schermo e durante il giorno continuiamo anche a scrollare di continuo le nostre bacheche social per “sbirciare” dentro la vita dei nostri personaggi pubblici preferiti o dei nostri “amici”. Già proprio “amici” in quanto troppo spesso crediamo che il numero di persone che ci seguono, followers, corrisponda a degli amici fisici in carne e ossa con cui abbiamo un vero rapporto. Se per voi è così siete fortunati ma, nella stragrande maggioranza dei casi, non è così.

VIVERE PERENNEMENTE CONNESSI

Tutto il nostro mondo di relazioni ormai si basa completamente sui social dove troppe volte costruiamo dei veri e propri castelli di carte che crollano nel momento in cui ci interfacciamo con la vita reale. Siamo abituati a giudicare le persone dalle foto pubblicate online, dalle didascalie dei loro post e, proprio per questo, non appena conosciamo qualche nuova persona andiamo subito a spulciare i suoi profili social, un modo per “conoscerla meglio”. Ma, davvero pensiamo di poter conoscere una persona e giudicarla basandoci solamente su quello che pubblica?

Tra le altre cose i social, come vedremo, hanno interamente modificato i rapporti umani: basta un semplice like mancato o un unfollow (quando si smette di seguire una persona) per interrompere un’amicizia. Questo ci fa capire quanto Mark abbia rivoluzionato il mondo attraverso pollici all’insù, emoji e stories con un impatto rilevante sulla maggior parte della popolazione mondiale se consideriamo il numero degli iscritti. Facebook, per esempio, ha ben 2,80 miliardi di utenti mensili attivi di cui circa 1,84 miliardi di utenti attivi quotidianamente. Su Facebook, al pari degli altri social, troviamo tutto quello di cui abbiamo bisogno: dall’informazione ai personaggi politici che sosteniamo, dalle grandi catene mondiali al negozietto sotto casa.

Grazie alle intersezioni il social nell’ultimo quadrimestre del 2020 ha generato ben 27,2 miliardi di dollari e, pensate un po’, in totale da quest’ultime ha ricavato nel 2020 ben
84,2 miliardi di dollari. Instagram invece nel 2021 ha raggiunto 1 miliardo di utenti attivi e oltre 500 milioni di utenti che invece consultano il social e utilizzano le stories giornalmente. Altro dato interessante è che, come rivelato da Statista, il 71% del miliardo di utenti attivi ogni mese su Instagram sono giovani sotto i 35 anni. La fascia d’età più popolare riguarda gli utenti tra i 25 e i 34 anni, seguita dagli utenti tra i 18 e i 24 anni. Senza parlare di WhatsApp con oltre 2 miliardi di utenti attivi e che ormai è diventato il “custode” di tutti i nostri umori, delle nostre relazioni intime. Insomma l’app di messaggistica più popolare al mondo ci conosce meglio di chiunque altro.

TRA UTENTI PRIVILEGIATI E DISAGI GIOVANILI

Il blackout di l’altro ieri si inserisce all’interno di un periodo di crisi per il colosso dei social: lo scorso settembre il Wall Street Journal ha pubblicato un’inchiesta denominata “Facebook Files” dalla quale sono emerse diversi lati oscuri grazie a una dipendente, Frances Haugen, che ha raccolto migliaia di pagine di documenti riservati.

Innanzitutto partiamo da ciò che è sempre stato sotto gli occhi di tutti: i personaggi famosi vengono trattati diversamente dagli utenti comuni. Ma come? I loro account sono inclusi in una white list che li esenta da ogni sanzione. Qualche esempio? Nel 2019 il giocatore Neymar ha dato in pasto ai suoi milioni di followers le foto di una donna senza vestiti che lo aveva accusato di stupro. Le foto furono viste da 56 milioni di persone e condivise più di 6.000 volte dato che il sistema impedì ai moderatori di applicare la procedura standard, che prevede la rimozione del contenuto per revenge porn, lasciando le immagini online per oltre 24 ore. Tra l’altro questo trattamento di favore, attuato attraverso il programma XCheck, riguarda ben sei milioni di utenti (compreso l’account dell’ex presidente Donald Trump prima del ban di gennaio) ed ha permesso che dei contenuti illegittimi siano stati visualizzati ben 16,4 miliardi di volte.

Ma non finisce qui, quante volte avete sentito degli effetti psicologici dei social sugli utenti più giovani? Bene, il Wall Street Journal ha scoperto che anche Facebook ha condotto degli studi sull’influenza che ha Instagram sui giovanissimi. I dati che sono emersi sono molto allarmanti soprattutto per le adolescenti che si sentono a disagio confrontandosi con le foto delle coetanee. Si legge infatti che ben “il 32% delle ragazze adolescenti ha affermato che quando si sentivano male per il proprio corpo, usare Instagram le faceva sentire peggio”.

Non finisce qui perché gli stessi ricercatori si sono accorti che: “Noi peggioriamo i problemi di immagine corporea per una ragazza adolescente su tre. Gli adolescenti incolpano Instagram anche per l’aumento di ansia e depressione: il 13% degli utenti britannici e il 6% di quelli americani hanno manifestato pensieri suicidi”. Come dicevamo prima, i social e in particolar modo Instagram, si concentrano molto sul mostrare una vita perfetta e idealizzata che parte dal proprio stile di vita e dal proprio corpo. Scrivono ancora i ricercatori: “La tendenza a condividere solo i momenti migliori, la pressione per apparire perfetti e un prodotto che crea dipendenza possono far precipitare gli adolescenti verso i disturbi alimentari, un senso malsano del proprio corpo e la depressione”.

L’ALGORITMO CHE SI NUTRE DELLA RABBIA SOCIALE

L’inchiesta del Wall Street Journal si concentra poi sull’aggressività e la violenza che hanno invaso le nostre bacheche. Come qualcuno aveva già intuito, soprattutto in politica, l’algoritmo dei social zuckerberghiani spinge la condivisione dei post più aggressivi e offensivi che producono un aumento significativo del traffico e del tempo che gli utenti passano sui social incrementando di conseguenza anche i ricavi pubblicitari.

Ad accorgersi per primo dello stratagemma adottato dal social è stato l’amministratore delegato del sito di notizie BuzzFeed, Jonah Peretti, che ha segnalato alla dirigenza di Facebook un video contro la comunità afroamericana che era diventato virale raccogliendo più di 60.000 commenti. Inoltre il team di Facebook che si occupa di migliorare la qualità e l’affidabilità dei contenuti aveva sottoposto a Mark una serie di modifiche per limitare la tendenza dell’algoritmo a sponsorizzare indignazione e fake news per dare vita a dibattiti infuocati ma il fondatore del social ha rifiutato le modifiche temendo un calo di utenti e click.

Tutto questo può farvi capire in che mani abbiamo affidato la nostra intimità, in che mani abbiamo affidato letteralmente la nostra vita che ormai si limita alla ricondivisione di foto alla ricerca disperata di like. Nonostante le ricerche e le inchieste che si moltiplicano di ora in ora, non siamo riusciti a venir fuori da questo circolo vizioso e così ci lasciamo trasportare da un algoritmo di cui non possiamo più far a meno e che, oltre a influenzarci, ci “utilizza” per incrementare i suoi profitti infischiandosene di noi.

Fonte: Money.it

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