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Elezioni Usa, 11 lezioni per le startup dal nuovo presidente Donald Trump

Elezioni Usa, 11 lezioni per le startup dal nuovo presidente Donald Trump

Fare autopromozione, costruire un brand forte, pensare in grande, sapersi rialzare, saper scegliere i collaboratori, parlare chiaro: sono alcuni ele

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Fare autopromozione, costruire un brand forte, pensare in grande, sapersi rialzare, saper scegliere i collaboratori, parlare chiaro: sono alcuni elementi che hanno portato al successo l’imprenditore ora alla Casa Bianca. E che possono essere d’ispirazione per gli startupper

Donald Trump sarà il 45esimo presidente degli Stati Uniti. Il candidato repubblicano ha sconfitto la candidata democratica Hillary Clinton, sorprendendo almeno in parte sondaggisti e opinionisti che erano pronti a scommettere sulla vittoria della rivale. Dopo 8 anni di presidenza del democratico Barack Obama, arriva alla Casa Bianca il tycoon miliardario, nato nel Queens nel 1946 in una famiglia di costruttori, laureatosi in economia alla Wharton School, partito da Manhattan come imprenditore edile, poi entrato nel business dei casinò, che lo portò alla bancarotta, e risorto nel 2001 con la Trump World Tower, 72 piani davanti all’Onu, all’epoca la torre abitativa più alta del mondo. Vita privata un po’ movimentata, con tre mogli e vari figli e nipoti. È stato anche star televisiva come protagonista di “The Apprentice Usa”.

Molto discusso e controverso sia per la via privata sia per quella pubblica e imprenditoriale (quattro sue controllate sono fallite), ha però sempre trovato il modo di azzerare i debiti e tornare a costruire, magari con denaro altrui. Un politico tradizionale sarebbe stato distrutto da questi fallimenti, lui li ha rivendicati come abilità di sfruttare al meglio il sistema americano per rialzarsi.

Sia che lo si apprezzi o lo si detesti, il suo percorso può essere considerato una sorta di case history da valutare con attenzione da parte degli imprenditori, e in particolare degli startupper, che sono più esposti ai rischi di fallimenti e che invece devono rialzarsi in fretta e “imparare a sbagliare”, come recitano i guru della Silicon Valley. Larry Kim, founder di WordStream, società provider di marketing software basata a Boston ed editorialista di varie testate, ha ricavato 11 lezioni che una startup può apprendere dal percorso imprenditoriale ed esistenziale di Donald Trump. Persino se i suoi componenti hanno votato Hillary.

 L’autopromozione è meglio della pubblicità a pagamento – Nella sua carriera Trump si è dato da fare per essere sempre presente sui media. È noto per i suoi controversi punti di vista in grado di suscitare ampi dibattiti e per inserirsi nei trend topic e nelle conversazioni del momento. Un modo per generare pubblicità per il proprio business a un costo infinitamente ridotto rispetto alle inserzioni pubblicitarie.

Costruire un brand forte – Può apparire imprevedibile e contradditorio, e certamente per molti versi lo è, tuttavia Donald Trump è sempre coerente quando si parla di brand. Attraverso i suoi interventi sulla carta stampata, alla radio e online ha costruito un brand solido e riconoscibile. Al punto che se l’è presa con Forbes quando, nel suo lavoro di calcolo del valore dei brand,  non ha incluso il suo, arrivando addirittura a sostenere che è il migliore in circolazione. Diciamo che le elezioni presidenziali ne sono state una riprova.

Pensare in grande – “Mi piace pensare in grande. Se devi pensare a qualcosa, meglio che la pensi in grande” è uno dei suoi motti preferiti. Per convincere gli investitori a finanziare un’idea ci vogliono molte cose, ma si deve partire da una grande idea.

Non apparire disperati – Non bisogna mai apparire disperati quando si propone un’idea imprenditoriale a un investitore. “Quando una persona arriva con una proposta e sembra arrivata alla frutta – ha detto una volta il neo nominato alla Casa Bianca – è sempre una cosa negativa che le si ritorce contro immediatamente. L’entusiasmo va bene – ha poi precisato – ma non deve essere eccessivo”.

Togliere la frase “gettare la spugna” dal proprio vocabolario – Le società di Trump sono andate in bancarotta quattro volte: nel 1991, nel 1992, nel 2004 e nel 2009. Avrebbe potuto lasciar perdere tutto già 25 anni fa, ma non lo ha fatto. La storia ci dirà se è stato un bene oppure no. Certamente è un consiglio da seguire per uno startupper che creda veramente in quello che fa.

Proteggere i propri beni (e se stesso) – A proposito del punto precedente, è importante notare che Donald Trump non ha mai dichiarato bancarotta personale. Ha invece costituito corporations, partnership limitate e limited liability compagnie (Llc) nelle quali la sua responsabilità personale era limitata. Per una startup che nasce e vuole espandere il proprio business può essere utile saperlo.

Credere in se stessi – Sarebbe fantastico avere risorse, tempo e denaro a sufficienza per costruire la propria startup, ma spesso, se non quasi sempre, non è così. Perciò bisogna fortemente credere in se stessi e lasciarsi guidare da questa convinzione. “L’esperienza – ha detto il miliardario – mi ha insegnato un po’ di cose. Una di queste è seguire l’istinto, senza badare a come appare un’idea sulla carta. Un’altra è che è meglio occuparsi di quello che si conosce”.

Scegliere con cura i collaboratori –  Per le startup early stage la scelta dei collaboratori è cruciale: devono avere competenze ed esperienza, ma soprattutto devono essere affidabili. Di recente Trump ha spiegato che preferisce promuovere chi già lavora con lui invece di cercare esterni: “Mi piace scegliere persone che conosco. So che non hanno problemi di droga o alcol, per me sono una famiglia. Preferisco prendere persone da un livello basso e promuoverle a un rango superiore invece di assumere gente che non conosco”.

Conoscere tutto del proprio business – Sembra che Trump, così come faceva suo padre, conosca tutto dei propri business, dal costo di un’automobile a quanto una fornitura extra di cemento può incidere sul budget di un progetto edilizio. Così dovrebbe fare uno startupper: non perdersi un solo particolare, e magari imparare a programmare, se la startup è digitale. In modo da conoscere i meccanismi dall’interno.

Parlare in modo diretto – Donald Trump l’ha fatto e lo fa da sempre, a volte esasperando i toni e diventando volgare e offensivo. Naturalmente uno startupper non deve esserlo. Ma Trump ha dato in questo modo un’immagine di chi parla chiaro, senza giochi di parole o bizantinismi. Evidentemente anche questo gli è servito per vincere la sfida elettorale. Così come serve a una startup presentare in modo semplice e diretto le proprie idee senza stare a perdere tempo in incontri e negoziazioni lunghe e opache.

Lavorare tanto, e poi ancora di più – Nel libro Think Big: Make It Happen in Business and Life, Trump sostiene che la maggior parte di quelli che conosce e che hanno avuto grande successo imprenditoriale lavorano 7 giorni alla settimana. Gli startupper, per la verità, lo sanno, o almeno quelli che ci credono davvero: weekend di lavoro, nessun orario, vita privata inevitabilmente mescolata con quella pubblica. È quello che si deve fare, a quanto pare. E sembra che sia servito anche per diventare il nuovo presidente degli Stati Uniti.

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